Abituati dai libri di scuola a
considerare la storia umana come la storia di imperi e
dinastie, guerre e condottieri, quasi sempre finiamo per
dimenticare che essa invece è soprattutto storia di
idee, di speranze e valori, di sogni ed errori. Un
continuo divenire di conoscenze e sensazioni mai
sufficienti a svelarci compiutamente il presente e il
futuro, sempre sul punto di acquietare la nostra
curiosità, ma mai in grado di saziarla.
Anche Emidio non sfuggiva alla morsa di quest'ansia;
anzi, la sua sensibilità gli faceva cogliere ancor più
il peso dell'essere uomo in un mondo così poco incline
ad ascoltare i silenzi e le grida di un artista.
Altri diranno del valore della sua ricerca nel campo
dell'arte. A me, che l'ho conosciuto fin dall'infanzia e
che l'ho visto al lavoro fin dalla giovinezza, il
rispetto per l'uomo imporrebbe di rimandare ogni
sentimento ed ogni sensazione a ciò che ciascuno
proverà di fronte alle sue opere, che nessuna mia parola
potrebbe essere più eloquente di quanto Lui stesso ha
saputo dirci attraverso quelle, ma questo catalogo,
meritoriamente voluto dagli amici e alla cui
realizzazione l'Amministrazione Comunale non poteva non
contribuire, mi impone di ricordare l'amico, la
malinconia di molti suoi giorni e la luce delle sue tele,
i suoi racconti sempre sospesi tra realtà e sogno, quasi
fosse convinto di trasformare quella con questo anche nel
quotidiano.
La sua prematura scomparsa ci ha privati di un amico,
gentile e scanzonato, che aveva fatto della fantasia un
elemento fondante del suo vivere da uomo libero.
Ringrazio i curatori Maurizio Cesarini e Sandro
Ciriscioli che hanno voluto e saputo ricordare Emidio con
competenza ed evidente amore, realizzando questo catalogo
che certo contribuirà a far meglio conoscere il nostro
"caro pittore" (così ero solito salutarlo e
così mi piace ricordarlo).Mondavio, giugno 2001
II Sindaco
di Mondavio (PS) Sebastiano Dominici
Nel film di Francois Truffaut, La
camera verde, il protagonista, alla scomparsa della
moglie, decide di costruirle un luogo di devozione e,
dopo aver fatto innamorare di sé una giovane donna,
sceglie di lasciarsi morire. Egli compie l'estremo gesto
quando ha realizzato un altare illuminato dalle luci
tremolanti di candele. In una delle ultime sequenze,
attraverso una carrellata, si scorgono accanto
all'altare, foto di gente comune accanto a riconoscibili
artisti. Il protagonista decide che è arrivata la sua
ora nel momento in cui la donna gli testimonia il suo
amore: un gesto, il suo, che riscatta la tragicità
dolorosa della scomparsa attraverso l'amore di coloro che
tengono in vita con la forza e la passione del ricordo.
Truffaut vuole significare che solo l'amore e l'arte
trasformano la vita in una traccia indelebile che non si
dissolve ma perdura nel tempo.
Leggendo le appassionate testimonianze e i personali,
sentiti ricordi dedicati alla figura e all'opera di
Emidio Aloisi, troviamo conferma dell'ipotesi che il
sentimento mantiene vivo chi non ci è più accanto e che
la sua opera rappresenta, unica ed insostituibile, un
elemento incancellabile dell'esistenza.
Emidio Aloisi era un artista di estrema sensibilità e la
sua ricerca, rarefatta e sommessa, si incentrava sulle
tracce e sulle impronte. Le tracce sono segni che in
molti casi devono essere scovati, forse perché nascosti,
rinnegando la perentorietà del gesto urlato. Le impronte
segnano, invece, in maniera indelebile ed inoppugnabile
la propria individualità; quelle create da Aloisi, come
calchi di una natura evocata, sono ottenute attraverso
"spessori", rilievi che assorbendo luminosità
lattiginose, descrivono un luogo dell'anima. Grazie a
quelle che Emidio definiva pagine di un ipotetico
diario quotidiano, siamo in grado di sentire ancora
una volta la sua insostituibile voce. E' ad essa che
l'Accademia, il luogo dove si era formata e affinata,
rende omaggio: una voce che grazie all'arte ha avuto la
forza di non spegnersi e di non allontanarsi da noi.
Urbino, giugno 2001
Umberto
Palestini
Ho dei ricordi molto vivi di
Emidio. E inevitabile, ci conoscevamo fin da bambini e
abbiamo continuato a frequentarci da adulti. Abbiamo
condiviso giochi infantili, esperienze, serate noiose,
notti brillanti, alcuni viaggi decisamente eccitanti e
altri un po' meno.
La memoria va a quando, guida alla mano, cominciavamo a
visitare metodicamente, dalla a alla z, tutte le gallerie
d'arte e i musei di una città, fosse Roma, Praga o
Berlino. Naturalmente, ero io a stabilire la procedura,
lui non ne voleva sapere di sistematicità, si limitava a
chiedere: "Dov'è la prossima?". E in questi
frangenti che mi ha insegnato ad apprezzare l'arte. A
volte si limitava, senza proferire parola, a indicarmi
con il dito un particolare, mentre io avevo dato solo una
svogliata occhiata all'insieme, senza notare l'unico
dettaglio veramente interessante. Altre volte esclamava:
"Guarda che luce" o "Come vorrei fare
anch'io un nero così!".
Quando vedeva qualcosa che gli piaceva veramente, restava
a guardarla estasiato, con un entusiasmo quasi
fanciullesco. Il più delle volte, si trattava di
sculture. Cominciava a osservarle da ogni lato,
sorridendo. Ogni tanto gli sfuggiva un "Bravo,
eh?". Era inutile rispondergli, in quei momenti si
poteva dirgli qualsiasi cosa, volendo si poteva anche
insultarlo, perché tanto lui non sentiva; praticamente,
tutti i suoi sensi erano rapiti dalle forme che aveva
davanti.
Non posso commentare la sua opera artistica, non sono
abbastanza competente per farlo. Quando gli chiedevo se
fosse un concettuale, mi rimproverava dicendomi che avevo
la mania di voler etichettare tutto. L'unica cosa che
posso dire è che in quasi tutti i suoi lavori mi sembra
di intravedere una vena di tristezza.
D'altra parte, anche nella vita era frequentemente
malinconico, ma con pacatezza. L'ultima volta che l'ho
visto veramente felice, risale all'estate 1999. Ci
trovavamo a Berlino. Era letteralmente affascinato da
quella città piena di vita, con una scultura ad ogni
angolo di strada. Là incontrammo un ragazzo italiano,
padre napoletano e madre svedese, che vi si era stabilito
da diversi anni. Ci raccontò le sue numerose traversie.
"Pazienza, - ci disse - mi sento comunque fortunato.
Ho comunque vinto una grande lotteria: la lotteria della
vita. Mio padre e mia madre si sono incontrati per caso
fra miliardi di persone. Fra centinaia di milioni di
spermatozoi, proprio quello che mi ha generato è
arrivato all'ovulo; se ci arrivava un altro, nasceva mio
fratello. Sono nato, sono vivo e tanto mi basta". Mi
ricordo che a Emidio quel ragionamento piacque molto.
Peccato che, invece, abbia voluto rinunciare a quella
vincita.
San Michele al Fiume, giugno
2001
Giorgio
Mencarini
Dal bianco alla
luce
Ritengo che l'opera artistica di
Emidio Aloisi, in particolare quella incisoria, sia
esplicitata con sintetica semplicità e nel contempo con
profonda completezza da alcune sue stesse affermazioni
"...il bianco è la carta - la luce lo
spessore"...;
"...frammenti di realtà, di memoria in un
progressivo cercare me stesso nei segni, nella scrittura
che è l'incisione...;
"...un'immagine rarefatta di natura che si svela e
si identifica attraverso una traccia, un segno, un
rilievo...".
Bianco-luce: questi due termini sono sufficienti da un
lato per immergersi nell'infinita ricchezza di una
simbologia senza tempo, dall'altro per avvicinarsi alla
comprensione di una poetica inquieta, tesa a ricercare il
rapporto e il senso tra il sé e il mondo circostante, in
un continuo tentativo di superamento di una realtà
apparente ed ingannevole.
Sotto il profilo simbolico (numerosissimi sarebbero gli
esempi da prendere in esame) il bianco non è soltanto
l'opposizione al nero, ma insieme a quest'ultimo si pone
alle due estremità della scala cromatica; ovvero nelle
sue varianti di opacità e di brillantezza va a
significare l'assenza o la presenza di tutti i colori.
Wassily Kandinsky affermava che "il bianco, che
molti considerano spesso un non- colore, è come il
simbolo di un mondo nel quale sono spariti i colori in
quanto proprietà delle sostanze materiali .. Il bianco
opera nella nostra anima come il silenzio assoluto. Il
silenzio non è morto, trabocca invece di possibilità
vive. E' un niente pieno di gioia giovanile o, per meglio
dire, un niente antecedente la nascita, antecedente
l'inizio".
Proseguendo tra i meandri della simbologia, limitatamente
a quelli che in questo contesto mi appaiono più prossimi
all'opera di Aloisi e cercando conferma delle tesi
kandinskiane, viene naturale ricordare che il bianco
diviene l'indicatore delle variazioni di condizione
dell'essere: se in molti rituali erano vestiti di bianco
coloro che erano candidati - candidus - a
funzioni pubbliche, anche oggi nella nostra cultura sono
vestiti di bianco i comunicandi, come è bianco l'abito
di colei che va verso lo sposalizio, ovvero verso il già
citato mutamento di condizione dello stato dell'essere.
Se è vero che il bianco investe il concetto della
purezza, è altrettanto vero che originariamente è un
colore neutro, ovvero ricco di potenzialità che possono
esprimersi, ma che ancora sono rimaste inespresse (nel
mondo cristiano bara e fiori bianchi destinati alla
sepoltura di un bambino sono espressione di uno stato
ancora verginale).
Maggiormente indicativo è il fatto che il bianco sia
stato assunto in termini iniziatici ed in modo
privilegiato tanto dalle popolazioni dell'ovest quanto da
quelle dell'est. Se ad ovest il bianco è quello opaco
che progressivamente spegne i colori e ne caratterizza
l'assenza procedendo verso l'oscurità della notte -
privazione della coscienza -, ad est il bianco è quello
della ri-nascita: l'alba imbianca lentamente il cielo,
ricca del suo potenziale manifestarsi e manifestare la
realtà, pur tuttavia l'alba non è ancora l'aurora. Non
è il bianco "neutro" dei due momenti sopra
descritti, ma è l'avvento della "luce" -
affermazione dei colori - a consentire il riconoscimento
del mondo "materiale" e a permetterne la
riacquisizione cosciente. Prima è "l'antecedente la
nascita" di Kandinsky, poi è la
"ri-nascita".
Ricordiamo sempre che per Aloisi "il bianco è la
carta - la luce lo spessore". Ovvero un bianco di
per se stesso neutro, "stato di pre-nascita",
dal quale, attraverso lo spessore o il segno
affannosamente inseguiti (... "in un progressivo
cercare me stesso nei segni..."), Emidio avverte,
vuole e sente di poter far proprio quello stato di
rinascita, ovvero di appagare lo struggente bisogno di
riconoscimento di se stesso e del mondo, di quel mondo
"rarefatto" che attraverso la luce gli offriva
la possibilità dello "svelamento" della
natura.
Non è questo il luogo per dibattere un problema che
potrebbe essere di qualche interesse, ma non certo breve.
Mi sia egualmente permessa una piccola digressione, un
pensiero che si affaccia alla mente tra un lieve sorriso
e un sentimento di nostalgia.
Si è detto che bianco e nero sono posti entrambi ai due
poli della scala cromatica: immagino quante partecipate
discussioni possano aver animato i dialoghi di Emidio
Aloisi (da me conosciuto a casa di Paolo Fraternali) con
il suo maestro -amico e grande artista Fabio Bertoni.
Ricordo personalmente che quando qualcuno chiedeva a
Fabio perché nelle sue opere vi fosse presente così
tanto "nero" egli, un po' trattenuto, ma quasi
acceso nel tono, rispondeva: "nero? quale nero? il
mio nero non è nero".
Riflettendo un po' più attentamente e avendo conosciuto,
per mia buona sorte, le idee, gli intendimenti, la
poetica, la profonda intuizione di Fabio e lo stretto
rapporto con quei suoi allievi che dopo poco tempo non
erano più soltanto allievi, penso che tra quel
"nero non nero" e quel "bianco non bianco
se privato del segno che è luce" vi fosse
animazione, ma forse con grande distanza, nel pieno,
costante rispetto dell'emersione di individualità
comunque autonome.
Urbino, giugno 2001
Franco
Martelli
Versatile e irrequieto,
l'artista sperimenta diverse possibilità espressive nei
vari materiali: dall'incisione alla scultura alla
pittura. E' affascinato dalla lastra che costituisce la
base della scrittura del suo universo personale. Attratto
dagli spessori materici delle morsure, Aloisi sperimenta
tutte le possibilità di resistenza della materia alla
violenza del gesto, per ricomporre sul piano dell'arte le
diverse pulsioni della natura che nell'esistente provoca
la vita nel suo divenire. Scrive nell'autopresentazione
per la Rassegna San Fedele, Incisione Giovani, Milano
1983: La mia ricerca è un recupero, un'immagine
rarefatta di natura, natura che si svela e che si
identifica attraverso una traccia, un rilievo: sino a
dare una dimensione fantastica delle cose.
Silvia
Cuppini
in
Cronovideografìe Pesaro tra provincia e mondo 1945-1980,
a cura di V. Morpurgo - S. Cuppini - G. Calegari, Panini,
Modena 1990.
Emidio aveva dentro
un'inquietudine permanente che quando trovava il canale
giusto si manifestava in opere eclettiche che spesso
facevano supporre si trattasse non di uno
"studente" ma di uno sperimentatore sicuro di
sé che si avventurava nella giungla dell'immagine
moderna per appropriarsene fino a darne una realizzazione
tutta sua. Siamo nell'Ottantuno e ricordo i suoi quadri
dove un segno nervoso, quasi un neopuntinismo, scandiva
lo spazio. Altre volte con uno scarto d'umore fonde
maschere di bronzo o riprende reperti naturali per creare
delle presenze inquietanti che vivono fra realtà e
astrazione. Notevoli sono le incisioni bianche che fanno
pensare a una sua fuga in oriente, un viaggio dal quale
non è più tornato.
Urbino, 8 Giugno 2001
Vincenzo
Eulisse
Per Emidio
Nella riflessione del
fenomeno osservato
così una volta Cézanne definì il suo metodo di lavoro,
ovvero sulla possibilità ancora di vedere e riflettere o
di vedere il riflesso della visione o di osservare
l'istante riflettersi. Sempre e comunque si tratta però
di una connessione della possibilità di creare
linguaggio, di strutturare pensiero.
Colui che non sa niente, non ama mente.
Ma colui che capisce, ama, vede, osserva... (Paracelso)
E' possibile che l'essenza della natura, di
qualsivoglia natura, sia "visibile" attraverso
il linguaggio dell'arte?
E' una domanda elementare eppure di non facile risposta.
Poeti, letterati, pittori hanno investito il loro fare in
questa ricerca.
Secondo il mio pensiero anche la ricerca di Emidio Aloisi
è leggibile in questo senso. Una ricerca difficile che
merita il massimo rispetto.
I suoi soli bianchi non sono solo la rappresentazione del
sole ma anche la manifestazione di solitudine che
accompagna gli artisti e il loro credo linguistico.
Mi sembra anche che Aloisi senta profondamente la
sostituzione avvenuta fra natura e linguaggio. I suoi
modi sono minimali e i suoi mondi, così come sono
realizzati, sembrano opere linguistiche in codice
Braille. Comunicabili cioè anche a chi è cieco, anche a
chi questa realtà non può vederla direttamente.
Nello spazio bianco del pensiero "volano" le
forme di Emidio.
Casalmaggiore, 9.1.1999
Marco
Nereo Rotelli
Emidio
II suo lavoro l'ho seguito poco
ma sono convinto che Emidio Aloisi somigliava al suo
lavoro, ho un ricordo che risale alla metà degli anni
ottanta, quando insieme a Robert Pan e Filippo Di
Giovanni cominciarono l'esperienza della "morsura
selvaggia" sulle lastre di incisione, aveva
l'entusiasmo e la curiosità di un adolescente e
qualsiasi novità qualsiasi passo era una sorpresa, una
conquista. Mi impressionava vedere come ogni risultato
dell'azione di una saldatura, della percussione,
dell'abrasione ogni intervento erano attesi al ritorno
della stampa, con un segno inciso, l'esperienza della
distruzione, della dilatazione del limite fino al punto
di rottura, avevano bisogno di ritrovare sulla carta una
risposta allo stimolo. Da quel periodo di ricerca di
complicità forte tra Emidio e i suoi compagni,
scaturisce gran parte del suo lavoro, soprattutto la
coscienza di comprendere appieno che qualsiasi novità,
qualsiasi sperimentazione deve essere mezzo consapevole,
ricondotta ad uno stato di controllo, per poter uscire
dall'episodico, dal casuale, assumendo così la forza
consapevole del linguaggio. Da quel sodalizio uscirono
fuori le incisioni, i bassorilievi e le sculture, buona
parte delle immagini che rivedo oggi in questa raccolta
di suoi lavori, il suo affanno per il dominio della
materia, raggiunge un suo equilibrio della forma,
attraverso la riproposta, dei segni, delle impronte, che
si inquadravano in semplici canoni geometrici, in questo
caso non con una violazione dell'ordine naturale, ma
attraverso la frantumazione della forma coglierne,
isolarne un diverso equilibrio, una sua nuova
sensibilità. Il carattere lo poneva al di fuori del
mondo ufficiale dell'arte, ma lo privava da vincoli
espressivi e ciò lo affianca a diversi docenti-artisti
che fanno ricerca pura su alcuni aspetti dell'arte, che
risultano alla lunga un importante stimolo per chi ne
raccoglie il senso. E' questa la miniera della provincia,
che ha tempo di ricercare e formare senza ignorare,
evitando di sbandare ad ogni influenza. Il risultato è,
si vede, si coglie, sono tracce, segni che si aggiungono
a ciò che è senza annullare, senza deformare ma
mettendo in luce.
Urbino, 19 giugno 2001
Pino
Mascia
Camminava sempre molto
velocemente verso una luce di un sole scheggiato verso un
riflesso che si proiettava in un bianco lurido muro verso
sogni svaniti per arrivare altrove. E' tanto, è troppo
il tempo che se n'è andato, e poco il tempo per arrivare
lì.
Emidio Aloisi era un essere umano piuttosto alto e
sufficientemente pesante da incrinare lastre come se
fossero ghiaccio. Un artista spiritualmente
incondizionato, duro, deciso, consapevole della propria
forza e del proprio valore. Come nell'incisione "II
cavaliere, la morte e il diavolo" di Dùrer, a lui
tanto cara da farne un adesivo 100x70 cm e attaccarlo
all'esterno dello sportello del suo vecchio furgone
bianco, non ignorava che insieme a lui marciavano, né
poteva essere altrimenti, "La morte e il male"
i limiti perenni dell'essere al mondo. La coscienza di
questa compagnia lo rendeva più determinato a differenza
di coloro che vagano nel mondo a occhi chiusi, con la
mente ristretta. Un tipo umano così, oggi, poteva
sembrare fuori luogo, anacronistico, assolutamente
inutile se non addirittura pericoloso. Ma è vero il
contrario, non perché voleva dedicare la sua vita a
parlare con i suoi simili e a raccontare cose utili, ma
perché insisteva con l'essere una creatura umana
diversa, anziché mediocre. Si scontrava con la dura
parete della volontà di un mondo che non considerava la
bellezza come una religione.
Urbino, giugno 2001
Paolo
Fraternali
Mai come in questo caso le
parole mi son sembrate di troppo e devo dirlo, per
sbloccare il silenzio; questo silenzio che è, che sento,
che vedo quando penso ad Emidio... le sue pause e nel suo
sguardo fugace, ma intenso, sembrava che il tempo avesse
come un'improvvisa accelerata e chissà quanti pensieri
non detti, quante immagini, quante idee, un vulcano e poi
una battuta d'arresto, istantanea, un mezzo sorriso
misterioso a chi, a cosa, alla bellezza che solo lui
aveva colto, e che con instancabile lavoro avrebbe
cercato di tradurre usando la materia, qualsiasi materia,
per farcela assaggiare.
La materia è sempre stata la sua sfida, forse per non
averla mai veramente accettata; ha cercato di manipolarla
per ingentilirla, per renderla più simile alla sua
anima, fino a farla evaporare... e la sfida l'ha così
vinta lui... Emidio... l'artista dell'immateriale...
Grazie Mimmo.
Fano, giugno 2001
Daniela
Caiulo
Nei primi anni Ottanta, periodo
nel quale frequenta l'Accademia di Urbino, Emidio Aloisi,
confrontandosi con il lavoro di ricerca degli artisti che
insegnano in quella Scuola, ha modo di riflettere anche
su esperienze figurative del più recente passato.
Si dedica, tra l'altro, allo studio dell'opera di Alberto
Giacometti, dei suoi ritratti, in particolare, che
descrive lavorati ma allontanati dagli occhi, quasi
cancellati nei vestiti e nello sguardo da un colpo di
matita che ne aumenta la fisionomia e li rende più soli
che mai. Nei disegni è attratto dai giri di
matita; adoperava matite a mina dura e nonostante
segnasse sui fogli le molte righe per definire i
soggetti, alla fine l'opera anche se brulicante e
lavorata, risulta sempre lontana. A disegno finito dava
un colpo di gomma trasversale, e questa cancellatura era
l'irruzione delle luce che illumina l'ambiente e lo rende
ancora più precario. In un taccuino aveva scritto:
"Più guardo il modello e maggiormente lo schermo
fra la realtà e me stesso diventa corposo. Si comincia a
vedere la persona in posa, ma a poco a poco, tutte le
sculture possibili si mettono di mezzo... tra te e quella
persona; più la visione reale spariva e più la testa
diventava sconosciuta. Non distinguevo che innumerevoli
dettagli. Per vedere tutto insieme dovevo spostare il
modello più lontano possibile." La
rappresentazione che Giacometti da degli esseri umani è
in questa tensione, nel difendere e dare corpo a quello
che vede, seguita, subito dopo, dalla necessità di
togliere quello che ai suoi occhi non esiste già più.
Trascrivendo una lettera del 1884 di Van Gogh, Emidio
osserva: Sono numerosi i pittori che hanno paura di
una tela bianca, ma una tela bianca ha paura di un vero e
appassionato pittore. La vita stessa presenta ogni giorno
a un uomo un lato bianco infinitamente banale,
scoraggiante, sul quale ci si può disperare; un aspetto
verginale quanto la tela bianca sul cavalletto.
Su quel lato bianco, Aloisi è intervenuto con
appunti di diario quotidiano, le sue opere, nelle quali
una magia evocativa tiene insieme oggetto e soggetto, il
mondo esterno dell'artista e l'artista stesso. Opere
siano esse sculture, dipinti o incisioni, nelle quali
svela la propria visione della natura che diventa
rilievo, traccia, bianco su bianco, a suggerire desertici
sgretolamenti, cosmiche costellazioni, variegate
metamorfosi figurative.
Urbino, giugno 2001
Anna
Fucili
L'artista è una parola, la sua
opera è un verso, non bisogna quindi confondere l'opera
con l'artista; quando questi è veramente tale, il suo
lavoro non è contenibile, né spiegabile soltanto in
termini biografici. Emidio Aloisi era così, un
personaggio introverso ma fortemente comunicativo;
solitario ma fortemente attratto dalla discussione,
specie se riguardava l'attività artistica.
Apparentemente contrastante, aveva trovato nella
contraddizione l'elemento unificante del suo lavoro,
quasi una risoluzione alchimistica dell'unione degli
opposti. In lui si può parlare di tensione assoluta, di
gesto reiterato, che nella ripetizione trova un senso
estetico liminale, appena percettibile. L'infrasottile,
misura di una poetica del misurare, diviene nell'opera di
Emidio, una pratica che lo conduce all'apparente
azzeramento; apparente perché le sue incisioni non
vivono del segno tracciato, dal rapprendersi
dell'inchiostro di stampa, ma vibrano come diceva Bacon:
"dell'ottimismo del nulla". Così il suo
ottimismo d'artista non era quello di creare
semplicemente delle forme, o di indulgere in estetici
compiacimenti, quanto quello di cercare, fallire, cercare
nuovamente e nuovamente fallire (come a volte diceva),
così da avere lucidamente l'idea che nel fallimento
(apparente) è la vera grandezza dell'opera, il suo più
profondo significato. Concetto non nuovo questo, ma
ripetuto da diversi grandi artisti, primo fra tutti
Fausto Melotti che soleva dire che "l'artista che ha
paura di sbagliare è soltanto un professore". Ecco
quindi il bianco delle sue incisioni, una sorta di
anestesia estetica, oltre la quale si esperisce il senso
della ferita, della lacerazione, del grumo di materia,
del solco che solo ad una attenzione non superficiale si
tramuta in segno, in forma. Qui è l'altra
contraddizione, ciò che appare come "vuoto" è
invece un "pieno", un vibrare di appunti
luministici resi attraverso la texture del supporto e dei
solchi ottenuti dalla pressione della lastra. Nella
scultura la poetica di Emidio appare più consapevole,
più ragionata, anche in questo caso è la materia che
predomina, sia essa bronzo, gesso o reperto naturale. Il
calco di superfìci rugose che mostrano se stesse ed
alludono ad altro, crea suggestive ambiguità; tutto
rimanda ad un altrove mai pienamente definito; il
frammento di natura pietrificata, esiste nella sua
irregolare materialità, contraddetta e integrata da
forme levigate dove è nettamente visibile
l'intenzionalità dell'artista. Pensiamo ad esempio
ad un'opera, una sorta di basamento che non è tale, ma
rimanda alla rugosità epidermica di certi legni levigati
dal tempo, incisi dall'acqua e dal sole, sorta di
piattaforma che può ricordare le antiche
rappresentazioni della terra piatta. Al centro una forma
ovoidale, levigatissima, riflettente, quasi un
concentrato di materia primordiale, prossima
all'esplosione generatrice. Eppure tutto è fermo,
immobile, una possibilità di energia non espressa,
l'affermazione di un concetto scultoreo attraverso la sua
negazione, un po' come le incisioni a rilievo, a ben
riflettere, un equilibrio sapiente fra concretezza e
idea, tra il fare e il pensare, tra forma e
concettualità. L'esperienza artistica di Emidio può
quindi definirsi in una sorta di dualità fra intenzione
e non intenzione, pensiero pensato e pensiero inespresso,
fra materia concreta e materia suggerita, in una sorta di
oscillazione creativa di profonda sensibilità teorica.
Così come egli parlava, tacendo ostinatamente, o taceva,
parlando amabilmente, ora le sue opere rompono il
silenzio della vista, oppure sommessamente parlano di se
stesse e del precoce e totale silenzio dell'artista.
San Giorgio, giugno 2001
Maurizio
Cesarini e Sandro Ciriscioli
Poiché io ora cominciavo ad
amare personalmente la natura, a prestarle ascolto, come
a un compagno che, in maggio con noi, parla una lingua
straniera, la mia malinconia non era certo guarita, ma
era diventata più nobile e pura. (Hermann Hesse, La
natura ci parla)
C'è un elemento ricorrente nell'opera di Aloisi, un
segno personale che contraddistingue l'intero tragitto,
l'attenzione per l'essere della natura.
Qualsiasi sia il materiale o la tecnica scelta, si
delinea quasi un gesto di appropriazione dell'artista
che, consapevole dell'impossibilità di rappresentare in
termini oggettivi la natura, Poiché questa si rivela di
volta in volta diversa a chi ne possiede dentro di sé il
"sentimento", ne trattiene solo alcune tracce,
quelle che appartengono al suo immaginario.
Le forme, passate attraverso i filtri della memoria,
lasciano da parte le loro proprietà mimetiche per
rivelare l'essenza più intima, un'astrazione ricercata
nei luoghi delle allusioni.
Così se la rugosità delle cortecce in bronzo, i loro
risvolti scagliosi rimandano a immagini arcaiche, sulla
carta delle incisioni si imprimono con forza le orme
rarefatte dei fenomeni attraverso i quali la natura si
manifesta.
Emidio in questo caso sceglie il bianco assoluto, come a
voler fermare questi accadimenti prima che si disvelino
completamente, catturandoli nella loro luminosa
predatità.
Rimini, 30 giugno 2001
Cristina
Marabini
Grazie ad Emidio,
che come artista, insegnante e amico... ha
sempre dimostrato di saper "accogliere gli
altri", apprezzandoli come persone uniche e
irripetibili.
La sua capacità di porsi in empatia e la grande
disponibilità interiore all'ascolto,
mi hanno permesso di vivere, in prima persona, una sorta
di "dialogo creativo"...
... dialogo tacito, fatto di silenzi, di pause
in cui tutto ciò che è importante, è proprio ciò che
non viene mai pronunciato.
"Dialogo creativo", che nella sua opera in
continuo divenire
rimarrà per sempre aperto...
Ciao Paola
Catania, giugno
2001
Paola
Artale
Un quadro o una scultura è per
Emidio Aloisi un viaggio nelle vene dell'immaginazione,
è un'avventura che coinvolge luce e spazio, che alterna
sollecitazioni a pure espressioni del pensiero.
Fuori dal supporto tradizionale, Aloisi attesta il rigore
della ricerca visiva, il potere evocativo dei materiali
governati, l'idea del segno liberante, per darci la trama
della sua vita interiore.
Aloisi riesce ad attingere alle fonti vive del
meraviglioso per rivelarci la natura del dinamismo
plastico, lo sviluppo dei segni nella continuità dello
spazio, il rigore della struttura e la vitalità delle
forme in cui manualità e fatto mentale sviluppano le
forze della sua ispirazione d'artista.
Senigallia, 3 luglio 1997
Mario
Giacomelli
La lastra è
l'elemento prevalente del mio operare; la situazione:
molto spesso pagine di un ipotetico diario quotidiano che
viene utilizzato come elemento espressivo e visivo. La
mia ricerca è un recupero, un'immagine rarefatta di
natura, natura che si svela e che si identifica
attraverso una traccia, un rilievo: sino a dare una
dimensione fantastica delle cose. Il "bianco"
della carta- lo spessore è "luce". Luce che
non ha velature, luce che si espande, si infiltra
sfiorando morbidamente i segni, riconoscibili e
appartenenti alla natura. Frammenti di realtà, di
memoria in un progressivo cercare me stesso nei segni,
nella scrittura che è l'incisione, tramutarsi in una
ricerca autonoma e personale.
Emidio
Aloisi

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