Dal libro: del Ven. Bagdro "UN INFERNO SULLA TERRA" ( richiedere eventuali copie a: monia.mattioli@tin.it )
Quando aprite l'atlante del mondo e guardate l'Asia Centrale potete vedere che il Tibet è politicamente incluso dentro la Cina. A causa di questo potreste pensare che il Tibet è una parte indivisibile della Cina.
Potreste non sapere che il Tibet ha una sua lingua, una sua cultura, i suoi costumi e una propria geografia separata da quella cinese, e tutto ciò da più di duemila anni. Prima dell'occupazione cinese il Tibet aveva anche un sovrano politico indipendente e un proprio sistema di governo.
Che il Tibet sia stato invaso con la forza dai comunisti cinesi nel 1950 e preso sotto il loro completo controllo nel 1959 potrebbe non avere nemmeno lambito i vostri pensieri.
La realtà è che nel passato il Tibet era stato una nazione totalmente indipendente con la sua storia e la sua mitologia.
Si dice che il suo popolo sia figlio del compassionevole Avalokiteshvara (Cernesi) e di un'orchessa di montagna in forma di scimmia
Nel 127 a.C. Nyatri Tsenpo fu eletto primo re del Tibet. Gli succedettero trentadue re finché nel 617 d.C. nacque Songsten Gampo e successivamente divenne il più grande sovrano del Tibet.
La sua elevata potenza e fama fecero sì che egli ottenesse quale sua regina la principessa di Nepal e Cina.
Era anche coinvolto nella compilazione della scrittura tibetana.
Nel 742 d.C. il re Trisong Deutsen invitò il saggio indiano Shantarakshita e distinse gli insegnamenti buddisti del Vajrayana di Padmasambhava nel Tibet, e così fu fondata la comunità monastica.
Nel 1642 il quinto Dalai Lama assunse il ruolo di sovrano e cominciò una nuova era nella storia del Tibet.
Il 27 aprile del 1914, sotto il regno del tredicesimo Dalai Lama, il Tibet firmò un trattato tripartito di uguale stabilità con i rappresentanti dei governi britannico e cinese a Shimla nel nord dell'India.
Questo trattato riguardava i confini dei tre stati ed è molto conosciuto dai tibetani col nome "Accordo di Shimla dell'anno della Tigre di Legno".
Ancora oggi l'India e la Cina considerano l'accordo di Shimla come base per la demarcazione dei loro confini lungo l'Himalaya.
Ma quando arriva al Tibet e alla Cina questo trattato non viene più rispettato dal governo cinese.
Nel 1949 in Cina i comunisti sconfissero i nazionalisti nella guerra civile tra le due fazioni e i nazionalisti furono costretti a fuggire a Taiwan.
Quindi i comunisti cinesi intrapresero l'esecuzione della loro politica espansionistica a danno delle nazioni indifese più vicine.
Così nel 1950 migliaia di soldati armati e in assetto di battaglia dell'esercito di liberazione popolare cinese attraversarono il fiume Drichu e catturarono la città di Chamdo del Tibet orientale.
Nel 1951 il governo tibetano fu costretto dai comunisti cinesi a sottoscrivere 1'"Accordo in sette punti" a Pechino, che prometteva alcune libertà per la cultura tibetana. In realtà i cinesi volevano portare il Tibet sotto il loro controllo, e ignorarono i punti di questo accordo, come pure un accordo precedente che avevano costretto il governo tibetano a sottoscrivere.
Come risultato di questo, il 10 marzo 1959, i tibetani insorsero per la disperazione in un'unanime rivolta contro i cinesi e chiesero loro di tornare in Cina, invocando l'indipendenza del Tibet.
I cinesi risposero con una brutale repressione e massacrarono migliaia di tibetani innocenti.
Nel 1959 il Dalai Lama fu costretto all'esilio in India e fu seguito al di là dell'Himalaya da migliaia di persone della sua gente. Tutto questo può essere simbolicamente contemplato in un proverbio tibetano che recita: "Anche se uno stupa viene rovesciato, il suo centro rimane intatto".
Benché il Dalai Lama sia fisicamente fuggito dai pericoli del Tibet, la sua influenza sulla cultura tibetana così come in quella di tutti i paesi sparsi per il mondo, ha aumentato la consapevolezza della comunità internazionale sul Tibet con passi da gigante. Durante i 39 anni di occupazione da parte della Cina comunista, la determinazione dei tibetani sul proprio autogoverno è rimasta ferma come le montagne.
Dal 1987 solo a Lhasa essi hanno fatto dimostrazioni per più di cento volte invocando l'indipendenza del Tibet. Come ho detto prima, il Tibet ha una razza, una lingua un vestito tradizionale, delle abitudini e un sistema politico completamente diversi da quelli della Cina.
È una nazione con un simbolo nazionale, una bandiera, una moneta e un sistema politico propri. Personalmente non ho mai visto la precedente civiltà tibetana libera e pacifica perché sono stato allevato sotto l'influenza della repressiva Cina comunista.
Ma dal 1987 mi sono dato da fare per la causa del Tibet, e come risultato di questo sono stato imprigionato dai cinesi per tre anni. Incapace di sopportare più a lungo la repressione del sistema comunista cinese, sono fuggito in India nel 1991.
Quando sono arrivato in India ho avuto un trattamento medico grazie alle cure e alla guida di S.S. il Dalai Lama e del governo tibetano in esilio e con l'aiuto di amici stranieri. Ho avuto l'opportunità di visitare paesi stranieri per spiegare al mondo ciò che avevo visto e sperimentato. Questa testimonianza era stata preparata in precedenza nel 1992 da Youdon Lhamo, una patriottica donna tibetana, e suo marito David, inglese, che erano venuti in India quell'anno. È stata compilata da Robbie Barmett del Tibet Information Network e pubblicata da loro.
In seguito alle numerose richieste di darle una forma di libro, ho speso dei soldi di tasca mia e pubblicato 500 copie del libro. Ho anche intenzione di scrivere e pubblicare un libro più dettagliato sulle mie esperienze. L'intento di questo volumetto è di permettere al mondo di conoscere la verità sull'inumana repressione del popolo tibetano da parte della Cina comunista e di far conoscere la verità sulla causa tibetana al mondo esterno. Non è per un mio personale tornaconto o per il desiderio di diventare famoso che scrivo questo, ma nella speranza che ciò possa sollecitare un maggiore supporto per il Tibet in tutto il mondo.
BHAGDRO
già monaco del monastero di Ganden in Tibet
20 aprile 1998 (anno tibetano 2125)
Il 18 aprile 1988 Bagdro, un monaco di vent'anni del monastero di Ganden, è stato arrestato dalla polizia cinese. È stato accusato di essere alla testa di una delle principali dimostrazioni che si erano tenute a Lhasa il 5 maggio 1988 dove un poliziotto cinese era stato ucciso. In questo modo è diventato imputato in uno dei più importanti e pubblicizzati processi in Tibet nel corso di dieci anni. Sei tibetani sono stati accusati di essere coinvolti in questo omicidio; di questi Bagdro era il più giovane.
Bagdro ha scontato una condanna di tre anni nelle prigioni cinesi, i primi nove mesi nel penitenziario di Gutsa e oltre due anni nella prigione di Drapchi. È stato rilasciato dopo aver finito di scontare la condanna nell'aprile del 1991. Molto presto dopo questo rilascio, nonostante gravi problemi di salute, è fuggito in India attraverso le montagne con l'intenzione di raccontare alle persone all'estero le condizioni di prigionia in Tibet.
Il testo della relazione di Bagdro, pubblicato nel 1992, costituisce uno dei più dettagliati resoconti sulla procedura di interrogazione, tortura e processo ai prigionieri politici in Tibet. Ritenuto il primo resoconto riportato da un testimone oculare di un processo nel Tibet moderno, la testimonianza di Bagdro dimostra che i giudici in questo caso sapevano che lui e i suoi coimputati erano stati torturati per settimane allo scopo di estrarre una confessione. I giudici emisero le sentenze incuranti di ciò. Nello stesso processo lo studente universitario tibetano Lobsang Tenzin era stato condannato a morte, sentenza che fu poi commutata nel carcere a vita solo dopo aver ricevuto attenzioni internazionali senza precedenti.
Durante la seduta della corte che ebbe luogo nel gennaio 1989 il capo giudice, un tibetano di nome Bu Dawa e altri ufficiali giudiziali non intervennero quando i soldati nella corte impedivano fisicamente agli imputati di parlare delle sessioni di tortura in prigione. I soldati in seguito percossero i prigionieri per aver tentato di protestare durante la seduta. Agli imputati venivano notificate le accuse contro di loro tre giorni prima, e venivano avvisati un giorno prima della data d'udienza. Non gli si dava ne' un avviso legale ne' un avvocato difensore e gli si diceva di non menzionare l'uso della tortura o delle percosse durante il processo. Quando le accuse venivano lette agli imputati, comunque, gli si permetteva di essere in disaccordo con esse. Lobsang Tenzin riuscì a dire che le loro confessioni erano state estorte con la tortura, e a chiedere di produrre delle prove. Una copia della sentenza della corte, recentemente pervenuta al Tibetan Information Network come era stata firmata dal pubblico ministero Bu Dawa, conferma la condanna a morte inflitta a Lobsang Tenzin, ma non fornisce quasi nessuna prova contro di lui. Il documento della corte dichiara che il procedimento giudiziario sul caso era corretto principalmente sulla base delle confessioni. Sonam Wangdu, che era stato violentemente torturato a Gutsa durante i nove mesi precedenti, aveva cercato di ritrattare la confessione durante il processo. Fu condannato all'ergastolo in quel processo, e da quel momento rimase paralizzato dalla vita in giù, sembra in seguito alle lesioni ricevute durante la sessione di interrogatorio e alle percosse. Mentre gli altri prigionieri in questo caso restavano sotto custodia, è possibile trovare dei dettagli nel periodo prima del processo sulla tortura usata nei confronti di Bagdro, che era il meno importante e probabilmente quello trattato meglio fra i sei sospettati in questo caso di assassinio.
Bagdro venne torturato sistematicamente nei primi undici giorni dopo essere arrivato nel centro di detenzione di Gutsa, a quattro chilometri a est di Lhasa. In ogni sessione, due o più funzionari sempre diversi tra loro tentavano di tirargli fuori chi aveva organizzato la manifestazione e se erano implicati dei contatti stranieri. Gli interroganti non avevano gran che a che fare con l'accusa per la quale Bagdro fu poi, condannato, nella fattispecie quella di aver percosso il poliziotto ucciso. Sei sessioni di tortura sono descritte in qualche dettaglio nella deposizione. Quasi tutti gli interrogatori veniva usato il bastone elettrico o un pungolo per bestiame su aree sensibili del suo corpo nel loro tentativo di estorcere una confessione a Bagdro. La precisione con la quale venivano applicate le scosse elettriche fa pensare che gli interroganti erano stati addestrati o avevano applicato molto queste tecniche. Era comune anche l'usanza di appendere i prigionieri per le braccia, e nella prigione di Gupta c'erano stati diversi resoconti di sospensioni aeree di monaci e monache fin dal 1987.
Gli undici giorni di tortura di Bagdro furono seguiti da cinque giorni di "interrogatori intensivi" e quindi da due settimane di sporadi-che percosse. Benché la tortura fosse stata sostituita dalle percosse, la pressione cumulativa delle due forme di maltrattamento devono essere state efficaci, perché finalmente dopo un mese Bagdro cedette e firmò una confessione ammettendo il proprio coinvolgimento nell'assassinio del poliziotto. Gli fu negato un adeguato nutrimento dall'inizio alla fine del periodo di interrogatorio, e qualche volta non ricevette cibo per niente. Bagdro descrive di essere stato duramente percosso quando fu prima detenuto nell'aprile del 1988 e dice che la polizia usava su di lui manette autorestringenti. Era costretto ad indossare manette continuamente, giorno e notte, per 34 giorni, fino al momento in cui l'osso non divenne visibile dal polso.
Rapporto di Bagdro, monaco di Ganden, in esilio in Dharamsala, India del nord.
Si avvisano i lettori che potranno trovare dolorose alcune testimonianze e descrizioni di Bagdro.
Febbraio 1992
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